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Tempio di Giove Anxur

Il Santuario di Monte Sant’Angelo (noto ai più semplicemente come “Monte Giove”), appartiene alla serie degli antichi santuari laziali monumentalizzati nella tarda Repubblica dell’Antica Roma, tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.. Insieme al tempio di Fortuna Primigenia a Praeneste, al tempio di Iuno a Gabii e a quello di Ercole vincitore a Tivoli, a Terracina sorge, invece, quel tempio che verrà attribuito posteriormente a Iuppiter Anxur, ovvero Giove fanciullo1.

La zona templare è suddivisa in due macro aree.

Quella più piccola, a ovest, con i resti del cd. “tempio minore”, dedicato con molta probabilità alla dea Feronia2 e poi successivamente inglobato da un monastero, costruito da monaci benedettini nell’ XI secolo dedicato a S. Michele Arcangelo, da cui prenderà spunto il futuro toponimo dell’intera area. Durante la campagna di scavo negli ambienti dell’area del piccolo tempio, ad opera dell’Università “Ludwig Maximilians” di Monaco di Baviera e iniziata nel 2019, sono venuti alla luce resti parziali del tempio stesso (con orientamento E-O), inglobati quasi del tutto dagli ambienti di servizio del monastero.

Nell’area est, la più estesa e suddivisa a sua volta in tre terrazze, è presente un’area trincerata (generalmente interpretata come castrum, dunque ad uso prettamente militare) sulla terrazza più alta, i resti del basamento di quello che viene comunemente denominato il “grande tempio” (intitolato a Giove Anxur, ovvero Giove fanciullo), accanto alla cd. “Roccia Oracolare” sulla terrazza mediana, mentre in quella inferiore troviamo il monumentale portico sostruttivo, perfettamente conservato. La divinità tutelare del grande edificio sacro, identificata come già riportato con Iuppiter Anxur, è stata successivamente messa in dubbio dal ritrovamento di alcune iscrizioni recanti il nome di Venere Obsequens.

1 L’attribuzione del tempio a Giove Anxur sorge per un’ipotesi di Borsari, l’archeologo che nel 1894 si occupò degli scavi del sito. Lo studioso trovò, infatti, all’interno di una favissa posta ai piedi della roccia oracolare, un deposito votivo contenente piccoli oggetti da lui interpretati, erroneamente, come crepundia. Sul concetto di “scoperta da scavo” appare lecito avanzare seri dubbi, fondati sulla cartografia della prima metà dell’ottocento dove l’intero complesso santuariale risulta perfettamente individuato.

2 La dedica a Feronia del piccolo tempio proverrebbe, secondo Coarelli, indirettamente da un passo di Plinio.